Viterbo – “Il nostro ultimo scopo nella vita è realizzare qualcosa per nostro figlio e per chi sta come lui. E riavvicinarlo a casa”. Ha 27 anni, il figlio di Franca Di Biagio. Soffre di una grave disabilità mentale.
Talmente difficile da gestire, da non avere avuto altra scelta che portarlo in una clinica specializzata ad Arezzo. Lontano da Viterbo.
Perché in zona le strutture le hanno tutte sbattuto la porta in faccia. Non sono adeguate. È nata da questa mancanza, grave per chi soffre e per le famiglie che devono prendersi cura dei loro cari, che con suo marito ha maturato l’idea, realizzare un centro riabilitativo adatto a suo figlio e ad altri che soffrono degli stessi disturbi.
L’immobile è a buon punto. Ci hanno già investito centinaia di migliaia di euro, in una zona collinare tra Viterbo e Marta. Ieri in terza commissione è arrivata la pratica per cambiare la destinazione d’uso dell’area, oggi agricola. Ai consiglieri ha raccontato la sua storia.
“Mio figlio ha 27 anni – spiega Franca Di Biagio – per 12 ho potuto tenerlo in casa, anche se è stato durissimo. Poi è diventato impossibile. Siamo stati rifiutati da strutture, fino a quando lo abbiamo portato per quattro mesi a Roma, spendendo dodicimila euro”.
Quindi la scoperta dell’istituto ad Arezzo, gestito dai Passionisti. “Dove persone come nostro figlio sono seguite con un indirizzo scientifico – continua la mamma – i primi due anni sono stati duri, ma poi ha cominciato a migliorare”. Perché non realizzare qualcosa di simile pure a Viterbo, si sono chiesti.
“Posso fare poco ormai. La mia famiglia è finita. Ma posso riavvicinare mio figlio al nucleo familiare e importare un modello sano di struttura che può aiutare tanti altri ragazzi nelle sue condizioni”.
A regime potrà ospitare quaranta persone. L’edificio è grande 1200 metri quadrati, sarà affidato ai Passionisti, con strutture adeguate e costruite per essere fruite da ragazzi con problemi d’autismo. Un impegno non da poco. Ci sono voluti tanti soldi, molti altri ne serviranno.
“Ma vogliamo realizzare un fiore all’occhiello per tutto il Lazio, per dare il meglio ai ragazzi. Forse i lavori li potevamo finire prima, se ci fossimo affidati a realtà che lavorano molto bene al Nord, mettendo loro fondi. Ci saremmo risparmiati tanti problemi, ma poi i malati avrebbero pagato. Abbiamo scelto la strada più difficile, un pezzo alla volta.
Ci dispiace per quelle tre o quattro famiglie all’anno, i cui ragazzi entrano in gravità e li devono portare via. Speriamo di portare a Viterbo le competenze. Quanto successo a noi e a molte altre famiglie è una vergogna”.
Un progetto per il quale si sono dovuti indebitare, firmare ipoteche. “Stiamo racimolando i fondi che mancano, stiamo raschiando il fondo. Gli ultimi centomila euro che ci siamo tolti ci hanno pesato.
Adesso aspettiamo che la banca ci conceda un mutuo da 300mila euro. L’istituto non vuole l’ipoteca su quello che stiamo costruendo, ma sui nostri beni. L’avevamo appena tolta.
Speriamo sempre che qualcuno ci aiuti, ci auguravamo una maggiore coesione. Quando la struttura aprirà, per il pubblico saranno soldi risparmiati, perché si eviterà che i ragazzi finiscano in istituto”. Oltre a evitare che si allontanino dalle famiglie.
Il comune il primo passo lo farà. La variante urbanistica andrà direttamente in consiglio comunale. La richiesta risale al 2015.
“Sarà un servizio per la famiglia – spiega l’assessora Raffaela Saraconi –
ma soprattutto per il territorio. Per le altre famiglie nella loro stessa condizione.
Si tratta di dotare il capoluogo di una struttura all’avanguardia. Il cambio d’uso al terreno permetterà di dare all’intero progetto, maggiore peso”.